Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
28 | IL VENDEMMIATORE |
LXXV.
Alcune in vece di giardini e d’orti
Han brevi teste, e pargoletti erbari,
O perchè ancor la poca etá nol porti,
596O perchè i padri lor sian troppo avari;
Quì debbon gli ortolani esser accorti,
Che i modi del governo non son pari:
Sopra quei può l’uom far quanto gli aggrada,
600Con più riguardo sopra questi vada.
LXXVI.
La man che erbari, e teste talor cole,
Seminar l’erbe, e non piantar vi deve;
Inaffiar ben si ponno, quant’uom vuole,
604Chè non sempre il terren l’acqua si beve.
Palo, nè zappa oprar non vi si suole,
Ma zappolin menarvi lieve lieve;
Sì che del bel terren morda le guancie,
608Ma non che il ferro dentro vi si lancie.
LXXVII.
De i giorni più miglior delle stagioni,
Che arar si debba e sementar la terra,
Varie son più che i fior le opinioni;
612Chi giunge al ver, chi si dilunga ed erra:
Io, che cercar non vo’ tante ragioni,
Dico, che d’ogni tempo de’ far guerra
L’uom con quel loco, onde tor frutto brama;
616E però quel terren campo si chiama.