Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
DI NICCOLÒ FRANCO. | 183 |
chi, mi mandasse le polizze. Sapete come dipoi vedutomi oltraggiato da’ suoi, compose non so che sonetti ridendosi del mio uscire di casa. E sapete ultimamente, come non parendomi essere il tempo allora, diedi alquanto sosta alle mie vendette, aspettando solamente che le promesse fatte al sudore della mia virtù fussino state riconosciute da i falsi amici. In somma fu vinta la mia speranza dagli spietati disegni loro, e fummi forza che al mio viaggio per Francia si desse esecuzione con più tostana fretta ch’io non pensava.
Giunto quì, non mi parve lasciar l’Italia senza farle conoscere non dico tutto quello, ma solo una particella di quello ch’io so fare contro l’ignoranza de’ tristi. Ecco dunque messer Francesco ch’io son pur vivo, dove altri avea disegnato ch’io fussi morto. Ecco ch’io ho pur fiato da respirare, onde campato di tante avversità con lo scudo de’ miei inchiostri, e con l’armi d’un giusto sdegno, insegnerò a i tristi, come via meglio saría stato che avessino tenuta chiusa l’invidia dentro i loro animi, ed ivi suffocatala con ogni doglia, che averla scoperta nel provocarmi. Ecco che la sua nequizia è riuscita solamente in ignominia di lui tristo. E si come piacque a Cristo che la gagliofferie della vita sua, due volte in Roma non furono terminate dal giusto ferro per ridurlo al fuoco o alla forca, come castigo più dicevole alle sue scelleraggini, così pur dianzi gli piacque ch’io rimanessi in