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160 LA PRIAPEA

CLXXXV.


Priapo, noi poeti ti sacramo
     Queste brache di ferro intorcigliato,
     Che non è onesto che tu stia sbracato
     4Alla foggia d’un Eva e d’un Adamo.
Nè solamente noi per ciò ’l facciamo,
     Ma perche tu parendo disarmato
     Stai a gran rischio d’essere mangiato,
     8Tanto che di pazzía ne pare un ramo.
Perocchè oggi le donne son venute
     Appresso i cazzi in tanta libertate
     11Per quella rabbia d’essere fottute,
Ch’ove le brache veggono calate,
     O che sian viste, o che non sian vedute,
     14Fan poco conto d’esser invitate.


CLXXXVI.


Anzi che ’l cazzo a morte mi conduca,
     È forza provedermi molto bene,
     E mettere mi faccia sulle rene
     4Piastre di piombo, o qualche sanguisuga.
Però che vivo vivo mi manduca
     Questa lussuriaccia delle schiene,
     E per averle a tutte l’ore piene
     8Vommene in seme come la lattuca.
Sia benedetto il papa col suo gregge,
     Che di símile affanno non gli duole,
     11Per tal bisogno che gli ponga legge.
Egli, o che sia mal tempo, o che sia Sole,
     Puote a bell’agio trar delle corregge,
     14Rizza a suo modo, e chiava quando vuole.