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DEL FRANCO. 159

CLXXXIII.


Io mi credea, che nullo s’accostasse
     All’orto mio per non vedermi in hasta,
     E si trovasse qualche donna casta,
     4Che per vergogna mai non m’adocchiasse.
Ma se la vita tutta mi crepasse,
     Per vedermi sbragato ognuna tasta,
     E pigliasi un boccone della pasta,
     8Così niuna mai ce ne passasse.
Perche ne son venuto in tanto duolo,
     Che per le fotterie mai più non spero
     11Di guarir questo cazzo mariuolo.
Di sorte che m’aveggio essere vero,
     Che sempre ha più faccende un cazzo solo,
     14Che tutta la gran fabrica di san Píero.


CLXXXIV.


Io veggio le mie pene troppo espresse,
     Onde sarò costretto provedere,
     Ne altro conosco quanto al mio parere
     4Se non ch’io mi proveggia di brachesse.
Che mi difenderò forse con esse
     Da mosche e da tafani, che temere
     Mi fan la morte, e da quest’ora avere
     8Chi mi dica per l’anima le messe.
O Dio, fino alle mosche stanno attente,
     E curano d’andare a bocca aperta
     11Ove la carne vendere si sente.
Veramente ogni lode al mondo merta
     Chì dice, che le donne solamente
     14Per le mosche la portano coperta.