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DEL FRANCO. 157

CLXXIX.


Magro piacer, per animar le rene
     Eran di molti antichi, che chiavando
     S’andavan negli specchi riguardando,
     4Sol per vedersi dimenar le schiene.
Perche poco è l’ajuto che ne viene,
     Mentre vò questa cosa rimirando,
     Se da guardar han gl’uomini ficcando,
     8Guardino solo che si ficchi bene.
Meglio fa l’Aretino i suoi bocconi,
     Che pur che tutti i diti se ne lecchi,
     11Non cerca tante contemplazioni.
E purch’egli abbia assai fini apparecchi,
     Id est buon culi ed ottimi cazzoni,
     14Lascia alle donne scriminali e specchi.


CLXXX.


Credono molti, ch’io mi dia a mangiare
     Quanti tartufi mena l’orto mio,
     E che di quì si generi il disio,
     4Ch’io mai non farei altro che ficcare.
Anzi di questo ne vorrian giurare,
     Ma tanto in vita lor gli ajuti Dio,
     Tant’abbiano lo spirito, quant’io
     8Sì fatti pasti volli mai provare.
L’ostreghe, che altri tutto giorno annasa
     Per aguzzar la punta del coltello,
     11In quanto a me mi pajono una rasa.
Che giunger non ponno acqua al molinello,
     E si suol dir, che trista quella casa,
     14La quale abbia bisogno di puntello.