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156 | LA PRIAPEA |
CLXXVII.
Il fottere de’ passeri è stupendo,
E che a niun altro si potría uguagliare,
Onde l’invidia me ne fa crepare
4Mentre per l’orto gli veggio ir fottendo.
Tanto, ch’io chiaramente ne comprendo
Che l’uomo in vita sua non può arrivare
Al terzo di quel loro spessegare 1
8Ancor che noi fottessimo morendo.
Mettomi qualche volta in fantasia
Di sforzar più che posso la natura,
11Ma alfin sempre mi perdo a mezza via.
Anzi ci trovo tal manufattura,
Che a far il conto mi bisogneria,
14Ch’ogni cazzata fusse fottitura.
CLXXVIII.
Ho tanta invidia a i cani, ch’io ne moro
Per quel buon tempo ch’hanno nel chiavare,
Poich’ad ognor si possono affrontare,
4E far delle faccende in chiesa e in coro.
E a noi bisogna farne concistoro
Se una fiata ci vogliam sbracare,
E in mille maniere ruffianare,
8Ed oltre il sangue, spender un tesoro.
Cosa da farne disperazione
Veder gl’altri incazziti, e noi rizzzati
11D’invidia grattarci il pettignone.
E però perdoniamo a preti e a frati,
Perch’hanno i poveretti gran ragione
14Di fotter sempre come disperati.
- ↑ Far presto.