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DEL FRANCO. 131

CXXVII.


Or che farò di tante potterie
     Quante son queste che m’han poste a lato
     Perche di lor non pur un gran mercato,
     4Ma si faríano ancor due beccherie.
Quì ne son d’ogni sorte, e buone e rie,
     Potte di lana, e potte di scarlatto,
     Potte di sergia, e potte di broccato,
     8E potte più che non sono l’erbe mie.
Trovomi in dubbio donde cominciare,
     E dove prima mettere il coltello
     11Per aver meglio carne da trinciare.
Ma certo io non debb’essere in cervello,
     Nè sò che tutte sono d’un affare,
     14Tutte d’un mastro, e fatte ad un modello.


CXXVIII.


Della potta da Modena già intesi
     Dal dì ch’io nacqui sempre cose elette,
     Tal che se son sì sconcie e maledette,
     4Guardimi Dio da potte Modenesi.
Mi maraviglio come in quei paesi
     Non sappian porre in uso le ricette,
     E turar le fessure e farle strette,
     8E stringere i bottoni degli arnesi.
Il Molza mi fa più maravigliare,
     Ch’ha scritto della fica, e non intendo
     11Che della patria voglia motteggiare.
Eccetto, se per quanto ne comprendo,
     La Ficheide ha fatta, sol per fare
     14Della potta da Modena, scrivendo.