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128 | LA PRIAPEA |
CXXI.
Così vi venga il cancaro e la peste
Preti, di Dio nimici e dell’altare,
Come a me voi venite per mangiare
4Delle mie pesche, e empirvene le ceste.
Nè menzogne si possono dir queste,
Che sì fatto mistiero in voi si pare,
Per esser consueti di portare
8Un tondo sempre raso nelle teste.
Ma son contento che m’assassiniate,
Per esserci di voi molto da dire
11In tutte le faccende che trattate.
Perchè ponete l’anima al morire,
E ci spendete ancor tutte l’entrate,
14Se un cazzo vi mettete a favorire.
CXXII.
Deh! poichè tra i be’ frutti la natura
Fece le pesche, e quel bel frutto elesse
Per gl’uomini, e ch’ognun se ne cogliesse
4E le mangiasse mentre il tempo dura.
Perch’ella, che del fare ebbe la cura
Non fece un altro frutto che piacesse,
Così alle donne in quelle forme istesse
8Che rappresenta questa mia misura?
Donne mie belle, gran ragione avete
A biasmar la natura e averla esosa.
11Pur il suo error non riguardar dovete,
Nè dirle mai parola ingiuriosa
Per vostro onor, perchè come sapete
14Natura e potta son tutt’una cosa.