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124 | LA PRIAPEA |
CXIII.
Poi che nell’orto vidde raunati
L’ortolano Aretin, nè senza offese
Mille strani animali, alle difese
4Venne fra l’erbe ov’erano annidati.
Pur conoscendo i frutti abbandonati,
Ne trovando rimedj a tante imprese,
Per fargli spaventacchio ci sospese
8Tutti gli scartabelli suoi stampati.
E perchè pinto portano il flagello,
Sparve ogni fera, ond’egli in quel disio
11Vedendo il suo giardin purgato e bello,
Disse a man giunte: Or sia lodato Dio,
Ch’ho ritrovate cose col cervello
14Da mantenerne netto l’orto mio.
CXIV.
In un alloro l’Aretin pastore,
Ove il tronco la scorza avea men dura,
Scolpì del Dio degl’orti la figura,
4E disse, gli occhi al ciel rivolti e ’l core:
Cresca il bel lauro, e dal vivace umore
Prenda ’l mio Dio la viva sua verdura,
E co’ bei rami adegui la misura,
8Vivendo a parte nel celeste onore.
Talchè, come il desío crescendo sale,
Così cresca l’oggetto; e ’l mio restauro
11Sia di vederlo al desiderio uguale.
E se in argento a me non lice e in auro
Veggia, e col vero pregio trionfale
14L’idolo mio scolpito in vivo lauro.