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84 Capitolo IV.

non lo sa in alcun modo. Sì, soggiunge il Forestiero, quelli là erano di gran lunga più felici, qualora per altro, ciò che non sappiamo, si siano rivolti alla filosofia; se no, no. È facile la conclusione, che una vita virtuosa, cioè una vita intesa tutta al conoscere, è per sè superiore a una vita innocente, e che l’uomo che è capace di rilevarsi, come anche afferma il dogma cristiano, non ha perduto nulla per il suo cadere. Nè rilevarsi per altro potrebbe senza l’aiuto di Dio. Platone infatti dichiara espressamente, che neanche durante le attuali condizioni Dio ha abbandonato l’opera sua: egli si ritira solo nella sua specola1 a osservare, pronto a riprenderne il governo, quando essa fosse in procinto di perire; e intanto soccorre indirettamente alla nostra debolezza procurandoci i mezzi di difenderci e di salvarci, come il fuoco, le arti, e quanto è indispensabile alla vita.

Per tal modo Iddio, che è il bene, non è e non può essere autore del male; egli soltanto lo permette, e questa permissione, più che un atto suo, è una parziale sospensione del suo atto, per la quale la natura corporea riprende, per così dire, il suo diritto, e si manifesta per quello che è, cioè diversa dal bene. La creazione è buona, dice il Timeo: poichè però essa non è ma diviene, era necessario assumere in essa anche un elemento mutevole: essa perciò è buona per quanto poteva essere, ma non buona assolutamente: essa anzi perirebbe, se Dio non intervenisse a salvarla, qui restaurandola di tanto in tanto e raddrizzandola, nel Timeo2 conservandola costantemente e perseverando nel voler conservarla in eterno. In altre parole Dio è la fonte unica dell’immortalità e della vita, e non vi sono due potenze divine, l’una per il bene, l’altra per il male: il concetto del male, dopo la discussione del Sofista, diventa più di negazione che di opposizione al bene: esso è solo in quanto anche il Non essere è.



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  2. Pag. 41 A.