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La tesi dell’Uomo politico. 79

potesse bastare il capo sapiente senza la cooperazione dei cittadini1.

Se pertanto il vero sofista era non solo diverso ma l’opposto del filosofo, e se il vero politico (non quello che si chiama abusivamente con tal nome) è invece il filosofo stesso, come siamo giunti a tal conclusione, ci troviamo aver ben più che delibato anche la materia della terza parte del programma, e questa mi pare una spiegazione sufficente del perchè il terzo dialogo non fu scritto. Politico e filosofo sono una cosa sola anche nel Timeo2: a che pro una trattazione separata? Per quella evoluzione che è propria di ogni pensiero e specialissima poi del pensiero platonico, procedendo la trattazione, anche qui il problema si cambiò: la proposta di prima non avea più ragione di esser mantenuta3.



  1. J. Eberz in “Archiv. für Gesch. der Philos.„ XV 2 (1909), pp. 252 segg., sostiene che l’autore nel rappresentare il vero nomo politico ebbe in mente Dione. E perchè non Dionisio? Gli argomenti stessi possono valere e per l’uno e per l’altro, a seconda della data che si voglia attribuire alla redazione del dialogo; ma mi pare una questione mal posta. Io non so pensare vi sia stato alcuno che nel foggiarsi un personaggio ideale non abbia avuto in mente uno o più personaggi reali; e in questi limiti era anche naturale che Platone pensasse successivamente a questi due signori: ma nessun artista neanche riprodusse mai nemmeno i personaggi storici tali e quali, e tanto meno Platone, che avea da rappresentare non un personaggio ma un’idea.
  2. Pag. 20 A.
  3. Cfr. Jackson, “Journ. of Philol.„ XV. pp. 287, 294. Che poi, come crede il Ritter (Neue Unters., p. 66), al terzo dialogo Platone non abbia mai pensato, io non me ne posso persuadere: nel Sofista, p. 217 A, è detto troppo esplicito che i tipi da studiare sono tre. Del resto anche lì, a un certo punto del ragionamento (p. 253 C), era balzato fuori il filosofo, ma lo si era subito abbandonato per correr dietro al suo contraffattore: notisi però che ivi appunto nell’abbandonarlo, lo si rimanda sempre a una prevista trattazione futura, “se ne avremo ancora voglia„, ἂν ἔτι βουλομένοις ἡμῖν ᾖ (p. 254 B). In ogni modo è assurdo il pensare