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78 | Capitolo IV. |
L’uomo politico del resto, lo si afferma subito nel principio del dialogo, è ben diverso e migliore del sofista. Il sofista è maestro di menzogna: egli finge di sapere ciò che non sa, e lo dà ad intendere come lo sapesse: se anche in un certo senso egli imita il vero, egli non lo imita che per deformarlo: è la somiglianza che ha il lupo col cane. L’uomo politico non è invece affatto di sua natura così ignobile, e se è tale, è in quanto egli sia sofista1: e poichè questo è il caso di gran lunga più generale2, non solo per colpa degli uomini ma anche per la natura stessa delle cose, è da meravigliarsi non già che gli Stati vadano in rovina, bensì che durino a resistere più che non si crederebbe3. Idealmente parlando anzi il solo vero uomo politico sarebbe il filosofo, colui che conosce e che sa, sia egli o non sia investito di autorità nello Stato4. Egli è il politico vero per natura sua e per sua essenza, non per capriccio di fortuna e degli uomini. Platone, osserva bene ancora il Jowett5, non si cura più di immaginare uno Stato in cui il filosofo dova esser fatto re6; il filosofo è già re per sua natura, e tanto gli basta. E questo filosofo che è re per sua natura, ed è perciò migliore d’ogni codice, è insomma quel buono e savio tiranno che viene descritto nelle Leggi7, il quale dovrebbe far felice lo Stato, se, nota sempre il Jowett, a ottenere il bene dello Stato
- ↑ Pag. 291 C.
- ↑ Pag. 303 B C. Che i sofisti e i retori loro fratelli germani dirigessero la loro attività alla vita pratica e intendessero addestrare alle lotte politiche è risaputo: di tal loro palese professione è testimonio e capital documento tutto il Protagora.
- ↑ Pag. 302 A.
- ↑ Anche Socrate affermava questo: Mem. III, p. 9-10.
- ↑ L. c. p. 428.
- ↑ Convenir che i filosofi diventassero re o i re filosofi, è convinzione che Platone afferma aver avuta già prima del suo primo viaggio in Sicilia: Epist. VII, p. 326 B.
- ↑ IV, pp. 729 E sgg.