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VIII Prefazione.

dal senso comune. E così si può dire è a ogni pagina, quando non è più volte per pagina.

Ma c'è di peggio. Il Bonghi, si vede, non aveva preparato nè note nè sommarî: ora per i sommarî effettivamente supplì il sullodato valentuomo, o la sua serva, e modestamente non vi appose la propria firma: generosamente li lasciò così credere parte genuina dell’opera bonghiana. Ecco a edificazione del lettore la seconda parte del sommario del Sofista:

«Numera dell’ente cinque generi: essenza, identità, diversità, stato e moto. Insegna che la vera essenza conviene alle cose corporee; l’immaginaria alle incorporee. — Quindi detesta quelli che negano le cose incorporee; e quelli che negano o che tutto si muova o che tutto stia fermo.— Poi parla della scienza, dell'opinione, dell'orazione vera e falsa, del verbo, del nome, ecc., in quanto sembrano appartenere alla disputa dello stesso ente. — Finalmente dopo aver parlato insieme del sofista e del filosofo, conchiude il libro con una sentenza direi quasi divina, cioè che tutte le cose naturali sono opera di Dio. Innanzi aveva già provato che tutte le opere della natura dipendono da una certa divina sapienza infusa nel mondo».

Questo non è più fraintendere; questo è impazzire. Come ha fatto costui a sognare la divina sentenza e tutte queste meraviglie?

Per l'onore scientifico del Bonghi ho creduto