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La teoria del Sofista. | 51 |
perciò che l’Essere debba essere immobile assolutamente, e immobile non sia quando faccia o patisca. Hanno torto, dice, perchè se il partecipare dell’anima all’Essere non può esser altro che il conoscerlo, conoscere ed esser conosciuto, in un certo senso, non sono altro che attività e passività. L’argomentazione è sottile e può non persuadere; e perchè vi sarebbe Platone ricorso se ne avesse avuto un’altra più evidente? S’egli avesse mantenuto la teoria della metessi, egli avrebbe avuto in essa la prova del fare e del patire delle idee, fare e patire in senso ben più vero e più proprio del conoscere ed esser conosciuto: l’entrare e l’uscire delle idee nelle cose è infatti incompatibile assolutamente con la loro assoluta immobilità.
La speculazione del Sofista pertanto è una modificazione non della prima teoria delle idee, ma della seconda. La seconda teoria aveva separato nettamente il mondo del divenire da quello dell’Essere: badiamo bene, si avverte ora, ciò non importa che il mondo dell’Essere non deva essere un tutto collegato e comunicante seco stesso. Esso è appunto coordinato in specie, generi e universali1, e chi sa riconoscere quest’ordine è il filosofo: questa coordinazione d’altra parte e questa comunicabilità sono i presupposti necessari del discorso.
Su questo punto sono stato breve, ma forse anche così sarò stato superfluo, specie per chi va molto più oltre, come il Lutoslawski2, il quale addirittura, sopra tutto da p. 248 DE, conchiude che gli oggetti della conoscenza nel Sofista non sono più idee impassibili ed immutabili, ma solo nostre nozioni; o come il Ritter (per citare lo scrittore più recente), il quale dal confronto di tutti i luoghi dei nostri dialoghi in cui ricor-