Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
I dialoghi dialettici. | 15 |
gliere anche questo dialogo nell’unità della trilogia a cui lo si volle costringere.
La quale unità, del resto, quanto alla forma esteriore, è forzata del tutto anche per altri rispetti. O che s’ha da intendere che il servo d’Euclide dopo letto il Teeteto abbia infilato di seguito il Sofista e poi anche il Politico? C’era da far venir fredda nonchè la colazione anche la cena. È vero che Platone del tempo, com’era in pieno diritto, non tiene affatto un calcolo razionale, e basti pensare per questo al dialogo della Repubblica anche molto più lungo: nel prologo del Teeteto per altro Euclide parla di un dialogo solo, e se, a tirarcela, si potesse farci stare anche il Sofista, in quanto Teeteto vi interloquisce lui solo da capo a fondo, non c’entra in nessun modo il Politico, dove Teeteto solamente ascolta e si riposa. C’è di peggio: se l’ipotesi del Teeteto s’ha da estendere anche al Sofista, Euclide avrebbe dunque messo in carta la confutazione di sè stesso (poichè è di lui e della sua scuola che si parla a pp. 248 sgg.), raccolta dalla bocca di Socrate prima ch’egli, Euelide, avesse formulata la sua tesi! Gli è che le idee nella mente del filosofo, come anche in quella di ogni mortale, non sono mai ferme, ma continuamente divengono, e ad una certa distanza di tempo chi crede ripigliarne una che prima ebbe, si trova avere in mano altra cosa: l’ipotesi del Teeteto non si ripresenta perciò più allo stesso modo, quando tanti anni dopo la si vuol rinnovare per il Sofista; di qui lo screzio. L’abito critico, a cui oggi siamo informati, uno screzio tale ce lo potrebbe far evitare: è un guadagno? Per noi è un guadagno anzi che Platone non l’abbia evitato, quando anche in questo screzio abbiamo una delle prove più dimostrative della grande distanza che separa la prima concezione del Teeteto dai nostri due dialoghi1.