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158 Il sofista.

For. Non è dunque giusto che quella di prima, essendo una riproduzione, si chiami copia?

Teet. Sì.

[B]For. E la parte dell’arte imitativa che fa ciò si chiamerà, come abbiamo detto prima, arte del copiare.

Teet. Si chiamerà.

For. E che? Ciò che per esser visto non dal punto buono1 pare che riproduca una bella cosa, ma, se uno si mettesse in grado le opere così grandi di vederle acconciamente, non sarebbe affatto simile a ciò che vuol riprodurre, 〈questo〉 come lo chiamiamo? Poichè pare bensì 〈che riproduca〉, ma non riproduce, non lo chiameremo parvenza?

Teet. Perchè no?

For. E non è molto abbondante questa specie, sia nella pittura, sia in tutta quanta l’arte [C]imitativa?

Teet. Come no?

For. E l’arte che eseguisce parvenze e non immagini, non la potremo chiamar benissimo fantastica?

Teet. Con molta ragione.

For. Queste pertanto sono le due specie che dicevo dell’arte delle immagini, l’arte del copiare e la fantastica.



  1. Proprio l’opposto di ciò che diremmo noi: per noi il punto buono da veder l’opera d’arte è quello in cui essa pare secondo le intenzioni dell’artista; per Platone, che bada alla verità scientifica, è quello dal quale si vede come essa è.