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Il Sofista. 131

[D]For. Ora della disputatoria una specie fa sciupar le sostanze, e un’altra le fa guadagnare.

Teet. Senza dubbio.

For. Proviamoci dunque a dire il nome col quale s’ha a chiamare ciascuna di esse.

Teet. Bisogna infatti.

For. Pare a me che quella cui l’uomo si dà immemore delle cose domestiche per mero piacere di questa occupazione, e che mentre si spiffera, dai più degli uditori si ascolta non certo con piacere, si deva chiamare a senso mio non altrimenti che loquacità1.

Teet. La si suol chiamare infatti così.

[E]For. Ebbene, la parte contraria di questa, quella che da tali dispute private guadagna invece denari, pròvati ora a nominarla alla tua volta.

Teet. E che altro mai si potrebbe dire senza errare, se non che ci ritorna di nuovo per la quarta volta quel famoso tipo che inseguivamo, il sofista?2

[226]For. Il sofista dunque, come il ragionamento ce l’ha dichiarato un’altra volta, non è altro che



  1. Quarta, che poi diverrà quinta definizione. Cfr. 224 D e nota.
  2. Scherza sull’etimologia di ἀδολεσχία = loquacità, che deriva da ἀηδής = spiacevole e λέξις = dizione, o λέσχη = chiacchiera. Ed è detto a proposito che essa fa perdere tempo e denari: ubi autem verba sunt plurima, ibi frequenter egestas, dice anche Salomone. Non è però senza irrisione che una parte dell’arte acquisitiva venga dichiarata così dissipativa.