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94 | Capitolo V. |
Ad ogni modo, poichè dall’espressione dell’Epistola il Timeo non può essere escluso con certezza, per provarlo posteriore ai nostri due dialoghi bisognerà ricorrere ad altri argomenti.
Il Tocco e l’Apelt pongono il Sofista dopo il Timeo. Il primo1 pur riconoscendo prevaler nel Timeo la teoria dell’imitazione, in confronto di quella della partecipazione, crede di scorgervi tracce anche di questa, e perciò lo avvicina alla Repubblica: ma i luoghi che cita a prova dell’asserto non reggono: a p. 51 A infatti non si parla affatto della presenza delle idee nelle cose, ma, il che è tutt’altro, a spiegare la χώρα vi si dice che è una specie (εἶδος) invisibile e amorfa e che partecipa in un certo povero modo dell’intelligibile: non è dunque affatto una cosa. A pagina poi 27 C e 51 E la μέθεξις ha meno ancora che fare: che ivi il μετέχειν non si deva intendere in senso tecnico ma volgare, è chiaro dal senso, specie nel secondo luogo, dove è detto che gli Dei partecipano dell’intelligenza; chè non voleva certo Platone asserire che solo per effetto di questo lor partecipare gli Dei esistessero.
Più serie sono altre argomentazioni. E innanzi tutto questa dell’Apelt2: Dopo aver asserito3 che anche il Non essere è, non poteva, dice, Platone affermare nel Timeo (38 B) che “quando del nato diciamo che è nato, e di ciò che nascerà che è per nascere e di ciò che non è che è non ente, non parliamo per nulla esattamente„. Ma la contraddizione tra i due luoghi non è forse, per chi consideri il contesto, così grave come pare. L’affermazione del Timeo viene come conseguenza della teoria che il tempo è un’immagine dell’eternità, un divenire che imita l’Essere, ma non è l’Essere; dice per ciò bene che usar la parola essere per ciò che diviene non è parlar proprio: dell’Essere, insomma, non si può dire se non che è immanente, e non già che