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don clemente | 73 |
«Ma come?» domandò Farè. Minucci brontolò seccato:
«Non è questo.»
Selva sentiva disgregarsi le anime che si erano unite in un primo slancio. Sentiva che Dane, Minucci, probabilmente anche Farè, intendevano, com’egli stesso intendeva, iniziare un movimento intellettuale e che quella divampata francescana era venuta fuor di tempo e fuor di luogo. Era tanto più inopportuna quanto più calda di verità viva. Perchè molta verità c’era senza dubbio nelle parole del padre Salvati, egli lo riconosceva, egli che si era più volte dibattuto nel pensiero il dubbio se non convenisse promovere, per il bene della Chiesa un’azione piuttosto morale che intellettuale. Ma egli non sentiva in sè le attitudini all’apostolato francescano e non le vedeva negli amici suoi, neppure nel più ardente, Luigi Minucci, un solitario, un asceta schivo della folla come lui, Selva. Le ragioni del Salvati valevano a guastare e non a edificare. Giovanni sentiva segrete ironie andare al Marinier e anche al Dane, di cui si conoscevano i gusti poco francescani, il palato difficile, i nervi delicati, gli affetti dati a cagnolini e a pappagalli. Se si voleva riescire a qualche cosa, conveniva correre al riparo.
«Mi perdoni» diss’egli «il carissimo padre Salvati se io gli osservo che il suo discorso, tanto