Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
54 | capitolo secondo |
il giovine di Leynì si crucciava di questo pericolo, sapendo quante e quanto diverse amicizie tenesse l’abate Marinier in Roma, dove dimorava da cinque anni per certi suoi studi storici; e si crucciava di non avere saputo della sua venuta in tempo di scriverne ai Selva, per suggerir loro che intraprendessero la sua conquista incominciando dal palato. La mensa di casa Selva, sempre nitidissima e fiorita, era, quanto ai cibi, molto parsimoniosa, molto semplice. I Selva non bevevano vino mai. Il vino chiaretto, acerbetto di Subiaco non poteva che inasprire un uomo avvezzo ai vini di Francia.
La ragazza di Affile aveva già servito il caffè quando arrivarono, a un punto, don Clemente a piedi da Santa Scolastica, Dane, il padre Salvati, e il professore Minucci in un legno a due cavalli da Subiaco. Ma don Clemente, ch’era seguito dal suo ortolano, vista la carrozza movere verso il cancello del villino e non dubitando che portasse gente a casa Selva, affrettò il passo perchè Giovanni e l’ortolano potessero vedersi, parlarsi un minuto, prima della riunione.
I Selva e i loro tre commensali si erano levati da cena e Maria, uscendo, a braccio del cavalleresco abate Marinier, sulla terrazza, vide, benchè annotasse già, il benedettino sul ripido sentiero che sale dal cancello aperto sulla via pubblica. Lo salutò dall’alto e lo pregò di aspettare, a piè della