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nel turbine di dio 471


Finito di scolare il fiume del popolo, Mayda fece aprire la finestra perchè l’aria si era viziata. Benedetto pregò che gli alzassero un poco il capo, desiderando vedere il gran pino inclinato al Celio. La verde livida corona dell’ombrello tagliava obliqua il cielo tempestoso. La guardò a lungo. Riadagiato il capo sul guanciale, accennò a don Clemente di piegarsi verso di lui, gli disse, quasi all’orecchio:

«Sa, quando mi hanno portato qua dalla villa, ho sentito un fortissimo impulso a pregare che mi portassero sotto il pino che si vede dalla finestra, per morire lì. Ma ho anche pensato subito ch’era una cosa troppo voluta, e che non era buona. E poi — soggiunse sorridendo — sarebbe sempre mancato l’abito.»

Un lieve moto delle labbra di don Clemente gli rivelò ch’egli aveva recato l’abito con sè da Subiaco. N’ebbe un assalto di commozione intensa. Giunte le mani, stette in silenzio fino a che durò la lotta interna fra il desiderio che la Visione si compiesse e la coscienza che non si sarebbe compiuta naturalmente. Si raccolse in un atto di abbandono alla Divina Volontà.

«Il Signore vuole che io muoia qui» diss’egli. «Però mi permette di avere almeno l’abito sul letto prima di morire.»

Don Clemente si chinò sopra di lui e lo baciò in fronte.