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452 capitolo nono

non poteva, di levarsi e non poteva, d’invocare Dio e non poteva. Le sei danzatrici piegarono a un punto le coppe verso di lui, sei mobili nastri di liquore rigarono l’aria. «Come io» pensò il dormente scambiando persone nella memoria turbata «a Praglia.» E tutto scomparve, si vide davanti Jeanne. Ritta in piedi, chiusa nel mantello verde foderato di skuntz, ombrata il viso dal grande cappello nero, ella lo guardava come lo aveva guardato a Praglia nel momento del primo incontro. Ma stavolta il dormente vide una rispondenza fra la gravità di quello sguardo e la gravità dei volti delle danzatrici, vide con lo spirito la parola silenziosa delle sette anime: povero uomo, tu ora conosci il tuo doloroso errore, tu ora sai che Dio non è. La gravità degli sguardi non era che tristezza di pietà. Le coppe della vita, della salute e del piacere gli erano offerte discretamente e senza gioia come a uno ch’è nel lutto, che ha perduto ogni cosa più cara; come il solo povero conforto che gli rimane. Così Jeanne offriva il suo amore. E il dormente fu invaso da questa presunta evidenza nuova che Dio non è. Era una vera e propria sensazione fisica, un gelo diffuso per tutte le membra, movente lento al cuore. Egli prese a tremare, a tremare, e si destò. Mayda pendeva sopra di lui col termometro in mano. Benedetto mormorò con gli occhi sbarrati: Padre!