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450 capitolo nono

fragore dell’Aniene, fra le montagne religiose, don Clemente gli aveva parlato così.

E adesso quel soffrir mortale era cessato. Quando il chinino cominciò a rombargli nel capo, se ne sgomentò. Questi rimedî lo istupidivano. Chiamò il professore; gli rispose una suora. Chiese che gli facessero venire un sacerdote dalla Bocca della Verità.

Il professore ch’era andato a riposare per un’ora, venne a rassicurarlo e credette allora dirgli quello che prima aveva taciuto. Don Clemente aveva telegrafato a Selva che sarebbe giunto a Roma l’indomani mattina alle dieci. Benedetto n’ebbe una gran gioia.

«Ma non sarà tardi?» diss’egli «Non sarà tardi?»

No, non poteva esser tardi. Egli non si trovava presentemente in pericolo prossimo. Questione di vita o di morte era il rinnovarsi della febbre e nel caso più disgraziato vi sarebbero state ancora molte ore. Mayda dubitò di avere parlato troppo crudamente, gli sussurrò:

«Ma guarirai.»

E uscì della camera. Benedetto, pensando a don Clemente, passò dalla quiete della sua contentezza nel sopore e nel sogno, dove discesero gli spiriti mali a comporgli con le ultime parole del professore una visione d’inganno.