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Il giovine aveva le lagrime agli occhi nel parlarne. Benedetto non sapeva di dover partire. Gliene aveva parlato lui come di una cosa non sicura ma possibile. Benedetto lo aveva guardato in silenzio per leggergli nell’animo, e poi gli aveva detto sorridendo: devo andar in prigione? Allora di Leynì si era pentito di non aver aperto subito a un uomo tanto forte e sereno in Dio tutta la verità e gli aveva riferito per intero il discorso del senatore.

«Egli mi prese» disse il giovine con voce rotta dalla commozione «la mano e tenendomela e accarezzandomela pronunciò queste parole precise: “Da Roma non parto. Vuoi che venga a morire da te?” Io mi turbai tanto che non ebbi la forza di rispondergli, perchè poi non so nemmeno se il pericolo dell’arresto non ci sia veramente, se l’atto incredibile del senatore non sia appunto un pretesto per evitare che glielo arrestino in casa e come si potrebbe portarlo in un altro asilo sfuggendo alle guardie. Lo abbracciai, borbottai qualche parola senza senso e corsi via, corsi qua per parlare a questa signora Dessalle. Potrebbe forse venir lei dal senatore e persuaderlo.»

I Selva avevano spesso interrotto di Leynì con esclamazioni di sorpresa e di sdegno. Finito ch’egli ebbe il suo racconto, tacquero, sbalorditi. Prima a interrompere il silenzio fu la signora Maria.