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nel turbine del mondo 369

non la farò più, quel dolce viso pieno di Spirito Santo non lo vedrò più! — Però, Dio sia lodato, non lo avrò visto invano. — Ma cosa faccio qui? — Perchè non me ne vado? — Potrò poi andare? — Questa febbre!

Si alzò, cercò di legger l’ora sur un occhio tondo di orologio biancheggiante nell’ombra. Mancavano cinque minuti alle undici. Fuori, il temporale continuava. La potenza degli elementi furibondi e la potenza del tempo che spingeva la piccola sfera sul quadrante, parevano amiche a Benedetto nel loro prevalere indifferente sulla potenza umana che aveva sede dov’egli era e lo teneva in sua balìa. Ma la febbre, la crescente febbre! Ardeva di sete. Se almeno avesse potuto aprire una finestra, tendere la bocca all’acqua del cielo!

Un tocco di campanello elettrico, passi affrettati nell’anticamera, finalmente. Ecco il commendatore, in soprabito e cappello. Chiude l’uscio dietro a sè, raccoglie delle carte sul suo tavolo, dice a Benedetto con piglio sprezzante:

«Stia attento. Lei ha tre giorni per lasciare Roma. Ha capito?»

Non cura di aspettare risposta, preme un bottone. Entrato l’usciere, gli ordina:

«Accompagnate!»