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nel turbine del mondo 363

rore di una lampada elettrica, vivo sul suo cranio calvo, sul giornale, sul tavolo coperto di carte. Sopra di lui, nella penombra, si intravvedeva un grande ritratto del Re.

Egli non levò dal giornale il capo grave di conscio potere. Lo levò quando gli piacque e guardò con occhi noncuranti l’atomo di popolo che aveva davanti a sè.

«Prenda una sedia» diss’egli, gelido.

Benedetto ubbidì.

«Lei è il signor Pietro Maironi?»

«Sì signore.»

«Mi rincresce di averla incomodata ma era necessario.»

Sotto le parole cortesi del signor commendatore si sentiva un fondo di durezza e di sarcasmo.

«A proposito» diss’egli. «Perchè non si fa chiamare col Suo nome, Lei?»

Alla improvvisa domanda Benedetto non rispose immediatamente.

«Bene bene» ripigliò colui. «Questo adesso importa poco. Qui non siamo in Tribunale. Io penso che se si vuole fare il bene si deve farlo col proprio nome. Ma io non vado in chiesa, ho idee diverse dalle Sue. Non importa, dico. Lei sa chi sono io? Il delegato gliel’ha detto?»

«No signore.»

«Bene, sono un funzionario dello Stato che