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360 | capitolo settimo |
alla Questura. Il delegato rispose che non si trattava di Questura. Chi voleva parlare al signor Maironi era un pezzo più grosso del questore.
«Non so se avrei dovuto dirlo» soggiunse «ma già glielo dirà lui.»
E raccontò che lo aveva cercato inutilmente a villa Mayda, disse quanto gli sarebbe seccato di non trovarlo presto. Benedetto si provò a domandargli se sapesse la cagione della chiamata. Realmente il delegato non la sapeva, ma finse un silenzio diplomatico, si rannicchiò nel suo angolo come per salvarsi dalle folate di pioggia. Un lampo mostrò a Benedetto il fiume giallastro, i neri barconi di Ripagrande; un altro il tempio di Vesta. Poi non si raccapezzò più affatto, gli parve di attraversare una sconosciuta necropoli, un dedalo di vie funeree dove ardessero lampade sepolcrali. Finalmente la carrozzella entrò con fracasso in un atrio, si fermò al piede di uno scalone scuro, fiancheggiato di colonne. Benedetto lo salì col delegato fino al secondo ripiano sul quale si aprivano due porte. Quella di sinistra era chiusa, quella di destra guardava sullo scalone per un occhio ovale lucente. Il delegato la spinse, entrò con Benedetto in un bugigattolo, in una specie di anticamera. Un usciere che dormicchiava si alzò stentatamente. Il delegato lasciò Benedetto e passò in un’altra stanza. Allora l’usciere si chinò come