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nel turbine del mondo | 349 |
Figlio mio, se io mi metto da stasera a trasformare il Vaticano, a riedificarlo, dove trovo poi Raffaello che lo dipinga? E neppure questo Giovanni? Non dico però di non fare niente.»
Benedetto era per replicare. Il Pontefice, forse per non volersi spiegare di più, non gliene lasciò nè il modo nè il tempo, gli fece una domanda gradita.
«Tu conosci Selva» diss’egli. «Privatamente, che uomo è?»
«È un giusto» si affrettò a rispondere Benedetto. «Un gran giusto. I suoi libri sono stati denunciati alla Congregazione dell’Indice. Forse vi si troveranno alcune opinioni ardite ma non vi è confronto fra la religiosità calda e profonda dei libri di Selva e il formalismo freddo, misero di altri libri che corrono, più del Vangelo, per le mani del clero. Santo Padre, la condanna di Selva sarebbe un colpo alle energie più vive e più vitali del Cattolicismo. La Chiesa tollera migliaia di libri ascetici stupidi che rimpiccioliscono indegnamente l’idea di Dio nello spirito umano; non condanni questi che la ingrandiscono!»
Le ore suonarono da lontano. Nove e mezzo. Sua Santità prese tacendo una mano di Benedetto, la chiuse fra le sue, gli fece intendere con quella muta stretta sensi e consensi trattenuti dalla bocca prudente. La strinse, la scosse, l’accarezzò, la strinse ancora, disse finalmente con voce soffocata: