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346 capitolo settimo

zioso, seguito, un passo indietro e a sinistra, da Benedetto. Sostò un momento presso il torso del fiume Oronte, guardò dalla finestra. Benedetto si domandò se guardasse i lumi del Quirinale, palpitò, attendendo una parola. La parola non venne. Il Papa riprese, tacendo sempre, il suo lento andare, con le mani congiunte dietro il dorso, e il mento appoggiato al petto. Sostò presso al fondo, nella luce della grande lampada; parve incerto se ritornare o procedere. A sinistra della lampada la porta della Galleria si apriva sopra uno sfondo di notte, di luna, di colonne, di vetri, di pavimento marmoreo. Il Papa si avviò a quella volta, scese i cinque gradini. La luna batteva per isghembo sul pavimento rigato dalle ombre nere delle colonne, tagliato in fondo alla loggia dall’obliquo profilo dell’ombra piena, dentro la quale mal si discerneva il busto di Giovanni.

Il Papa percorse la loggia fino a quell’ombra, vi entrò, vi si trattenne. Intanto Benedetto, fermatosi molti passi indietro per non avere l’aria di premere irriverentemente nel desiderio di una risposta, mirava l’astro veleggiante fra nuvole grandi su Roma. Mirando l’astro, domandò a sè, a qualche Invisibile che gli fosse vicino, quasi anche allo stesso volto severo e triste della luna, se avesse troppo osato, male osato. Si pentì subito del suo dubbio. Aveva forse parlato egli? Oh no, le pa-