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332 | capitolo settimo |
si diede poi a maneggiare le carte diverse che aveva sul tavolino, parve consultarne attentamente più d’una. Quindi le posò, le raccolse, le fece da banda, riprese a parlare.
«Figlio mio» diss’egli «ti devo domandare altre cose. Hai nominato Jenne. Io neppure sapevo che esistesse, questo Jenne. Me lo hanno descritto. Diciamo il vero, non si capisce perchè tu ti sia andato a cacciare a Jenne.»
Benedetto sorrise lievemente ma non volle discolparsi, interrompere il Papa, il quale continuò:
«È stata un’idea disgraziata, perchè chi può dir bene cosa succede a Jenne? Sai di aver avuto lassù della gente che ti vedeva di mal occhio?»
Benedetto pregò semplicemente Sua Santità che lo dispensasse dal rispondere.
«Ti capisco» rispose il Papa «e debbo dire che la tua preghiera è cristiana. Tu non dirai niente ma io non posso tacere che sei stato accusato di molte cose. Lo sai?»
Benedetto sapeva di un’accusa sola o almeno ne dubitava. Il Papa aveva l’aria più imbarazzata di lui. Egli era sereno.
«Ti accusano» ripigliò il Papa «di esserti spacciato, a Jenne, per un taumaturgo e di essere stato causa, per questi tuoi vanti, che un disgraziato morisse in casa tua. Si arriva persino a dire ch’egli è morto per certi beveraggi che gli hai