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324 capitolo settimo

l’antica, non aveva una lampada. Fiochi chiarori ne rigavano il pavimento, a intervalli, dalle finestre che fra le lapidi e i cippi e i sarcofaghi pagani guardano Roma. Da quelle della parete cristiana, che guardano il cortile del Belvedere, non entrava lume. Il fondo lontano, verso il museo Chiaramonti, si perdeva nelle tenebre più nere. Allora, sentendosi nel tacito cuore del Vaticano immenso, Benedetto ebbe un assalto di terrore sacro. Si accostò a una grande finestra onde si vedeva Castel Sant’Angelo, infiniti dispersi lumi nel piano, e all’orizzonte, più alti, più splendenti, quelli del Quirinale. La vista, non di Roma illuminata, ma di una panca bassa e sottile, coperta di tela verde, che correva lungo i cippi e i sarcofaghi, gli quietò lo spirito. Intravvide poi nell’ombra un padiglione mezzo disfatto. Che poteva essere? Anche lungo la parete opposta correva una panca eguale all’altra. Procedendo, urtò in qualche cosa che trovò essere un seggiolone a bracciuoli. Adesso al terrore era sottentrato un proposito sicuro. La interna voce imperiosa che gli aveva prima detto di entrare, ora gli diceva: «procedi». Glielo disse così chiaro, così forte, che un subito bagliore gl’illuminò la memoria.

Si percosse la fronte. Nella Visione egli si era visto a colloquio col Papa. Questo non lo aveva potuto dimenticare mai. Bensì aveva dimenticato,