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312 | capitolo settimo |
non si sa ancora cosa sia. Si dice che sia santo, intelligente, malato e debole.
Nell’accompagnare le signore alla carrozza, sulla scala buia, il professore uscì a dire sospirando:
«Quello che pur troppo si teme è che Benedetto non viva. Almeno Mayda lo teme.»
L’Albacina, che scendeva a braccio del professore, esclamò senza fermarsi:
«Oh poveretto! Di che soffre?»
«Ma!» rispose il professore. «Di un male inguaribile, pare; conseguenza della tifoide ch’ebbe a Subiaco e sopra tutto della vita disagiatissima che ha fatto, delle penitenze, dei digiuni.»
E continuarono la lunga discesa in silenzio.
Soltanto in fondo alla scala si avvidero che la loro compagna era rimasta indietro. Il professore risalì rapidamente e trovò Jeanne ferma sul penultimo pianerottolo, aggrappata alla ringhiera. Sulle prime non si mosse nè parlò. Poi mormorò:
«Non ci si vede.»
Guarnacci non sapeva e non fece attenzione nè a quel momento di silenzio nè al tôno sommesso e incerto della voce. Le offerse il braccio e discese con lei, scusando sè del buio, accusandone l’avarizia del padrone di casa.
Jeanne salì nella carrozza dell’Albacina che la