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282 | capitolo sesto |
gno entra. È sempre così, basta uno sguardo raccolto, una lode gustata, una immagine trattenuta, una offesa rimeditata, il soffio maligno entra.
E adesso è tutto questo insieme! È scesa la notte sul mio cammino, ho messo il piede nell’erba molle, la ho sentita, ho ritratto il piede ma non subito. Perchè adopero figure? Scrivi scrivi, mano mia vile, la nuda verità! Scrivi che questa casa è un nido di mollezza e che se ho gustato il letto soffice, la biancheria fine, l’odore di lavanda, ho molto più gustato la conversazione del signor Giovanni e le letture assorbenti nel diletto della mente, l’aura di due giovani donne pure, intellettuali, piene di grazia, la loro ammirazione segreta, il profumo di un sentimento che una di esse mi è parsa chiudere in sè, la visione di una vita nascosta in questo nido fra queste persone, lontana da tutto ch’è volgare, ch’è basso, ch’è immondo, ch’è schifoso.
Ho sentito il male del mondo con il ribrezzo che se ne ritrae e non con il focoso dolore che lo affronta per strappargli le anime. Istanti, baleni; mi rifugiai come un tempo nell’abbraccio della Croce ma la Croce, poco a poco, altrimenti da un tempo, mi diventò nelle braccia legno insensibile e morto. Mi sono detto: spiriti di nequizia, male volontà sapienti e forti che sono nell’aria, congiurano contro di me, contro la mia missione. Mi