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tre lettere 281

mi fa bene di scriverti più che di parlarti, non ti potrei parlare colla foga che ora mi viene alla penna e non mi verrebbe alle labbra. Scrivendo, io parlo, io grido a te immortale, io ti spoglio delle mortalità che sono anche nell’anima tua e che mi romperebbero, nella tua presenza, questa foga, delle mortalità di conoscenze incomplete delle cose, di prudenze che ti consiglierebbero veli al tuo pensiero. No, non te la spedirò questa lettera, eppure tu l’avrai; l’arderò, eppure tu l’avrai, sì, tu l’avrai, non è possibile che il mio tacito grido non ti raggiunga, forse adesso nelle tenebre della notte, mentre dormi, forse fra due ore, ancora nelle tenebre della notte, mentre preghi con i fratelli nella dolce chiesa dove tanto abbiamo adorato insieme.

Io so perchè sono arido, io so perchè Dio mi abbandona. Sempre quando Dio mi abbandona, quando tutte le sorgenti vive dell’anima mia inaridiscono e i germi vivi si disseccano e il mio cuore diventa un mare morto, io so perchè. Perchè ho udita una musica soave alle mie spalle e mi sono voltato, oppure perchè il vento mi recò fragranze dai prati in fiore a lato della mia via e mi arrestai, oppure perchè la nebbia mi è salita di fronte e ho temuto, oppure perchè uno spino mi offese il piede e ne ho concepita ira. Istanti, baleni, ma intanto l’uscio si apre, un soffio mali-