Pagina:Il Santo.djvu/292

280 capitolo sesto

caduta sotto il carico, che a un primo colpo di frusta fa uno sforzo, ricade; a un secondo colpo, a un terzo, a un quarto trasalisce appena, neppure tenta rialzarsi. Se apro il Vangelo o l’Imitazione, non vi trovo sapore. Se ripeto preghiere mi vince il tedio e ammutolisco. Se mi prostro sul pavimento, il pavimento mi gela. Se mi lamento a Dio di essere trattato così, il Suo silenzio mi par diventare più ostile. Se con l’autorità dei grandi mistici mi dico che ho torto di avere tanto affetto alle dolcezze spirituali, di soffrire tanto per la loro privazione, mi rispondo che hanno torto i mistici, che nello stato di grazia sensibile si cammina sicuri e che invece in questa notte spirituale senza stelle il cammino non si vede, non c’è altra regola che ritrarre il piede quando si sente il molle dell’erba, e ciò non basta, ch’è anche possibile di porlo addirittura, il piede, nel vuoto. Padre, padre mio, mi apra le Sue braccia, ch’io senta il calore del Suo petto pieno di Dio! Vi sono cento ragioni per me di non venire a Santa Scolastica, ma in ogni modo preferirei scrivere. Ella è qui presente a me più che nel corpo; io mi unisco, mi confondo meglio a Lei col pensiero che se Le fossi davanti; e ho bisogno di confondermi a Lei col pensiero, ho bisogno di costringere l’anima mia dentro la Sua. Forse Le manderò questa lettera, forse neppure la manderò. Padre mio, padre mio,