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268 | capitolo quinto |
prato, gli alberi sparsi, le grandi montagne ombrose, tutto gli era vivo, tutto gli era pio, tutto gli era dolce di un mistero di amore orante che inclinava la stessa falce della luna verso le cime placide nel cielo di opale. Don Giuseppe Flores gli diceva nel cuore che sarebbe soave di morire così col giorno, pregando insieme alle cose innocenti.
Passi frettolosi, dalla parte di Jenne. Si fermarono un po’ discosto. Una bambina si avanza verso Benedetto, gli porge timidamente una bottiglia d’acqua e un bicchiere, fugge indietro. Benedetto, meravigliato, la richiama; ella viene lenta, vergognosa. Richiesta del suo nome, tace; dei suoi genitori, tace. Una voce dice:
«È la bambina dell’oste.»
Benedetto riconosce la voce e, al fioco lume della luna, la persona silenziosa rimasta indietro per lo stesso squisito sentimento che le ha fatto prender con sè la bambina.
«Grazie» diss’egli.
Ella si appressò un poco, tenendo la bambina per mano, sussurrò:
«Sa che i preti hanno parlato colla madre del morto? Sa che ora questa donna accusa Lei di averlo fatto morire?»
Benedetto rispose con qualche severità nella voce: