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264 | capitolo quinto |
lo credettero scomunicato, lo lasciarono passare in silenzio.
Pochi passi più in là fu raggiunto da qualcuno che correva. Era un giovinetto magro, biondo, dagli occhi azzurri, intelligentissimi.
«Lei va a Roma, signore Maironi?» diss’egli.
«La prego di non chiamarmi così» rispose Benedetto, spiacente di apprendere che il suo nome, chi sa in qual modo, si era divulgato. «Non so se vado a Roma.»
«Io La seguo» disse il giovine, impetuoso.
«Mi segue? Perchè mi segue?»
Il giovine gli prese, per tutta risposta, una mano, se la recò alle labbra malgrado la resistenza e le proteste di Benedetto.
«Perchè?» diss’egli. «Perchè ho il disgusto del mondo e non trovavo Dio e oggi mi pare, per Lei, di essere nato alla gioia. Permetta, permetta che La segua!»
«Caro» rispose Benedetto, commosso, «non so neppur io dove andrò.»
Il giovinetto lo supplicò di dirgli almeno quando avrebbe potuto rivederlo, e siccome Benedetto non sapeva veramente come rispondergli, esclamò:
«Oh La vedrò a Roma! Lei andrà a Roma, certo!»
Benedetto sorrise.
«A Roma? E dove trovarmi, a Roma, se ci vado?»