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spiegarsi con noi, che ci prenda per dei reporters. Oggi noi non abbiamo o almeno io non ho le disposizioni che Lei desidera. Sarò un cieco ma non mi sento di domandar la luce al Papa e nemmeno a un Lutero. Però, se Lei viene a Roma, troverà dei giovani disposti meglio di me, meglio di noi. Venga, parli, permetta anche a noi di udirla. Oggi abbiamo la curiosità, domani, chi sa? potremo avere il desiderio buono. Venga a Roma.»

«Mi dia il Suo nome» disse Benedetto.

Colui gli porse una carta da visita. Si chiamava Elia Viterbo. Benedetto lo guardò, curioso.

«Sì signore» diss’egli «sono israelita, ma questi due battezzati non sono più cristiani di me. Del resto io non ho nessun pregiudizio religioso.»

Il colloquio era finito. Nell’uscire, il più giovane dei tre, quello dalla gragnuola di domande, tentò un ultimo assalto.

«Ci dica almeno se i cattolici, secondo Lei, dovrebbero andare alle urne politiche?»

Benedetto tacque. L’altro insistette:

«Non vuol rispondere neppure a questo?»

Benedetto sorrise.

«Non expedit» diss’egli.


Passi nell’anticamera; due colpettini leggeri all’uscio; entrano i Selva con Noemi. Maria Selva