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a Jenne, da qualcuno che mi parlò quella volta e poi non vidi più, di abbracciare la carriera ecclesiastica per diventare missionario. Risposi che non mi sentivo chiamato. La seconda è questa. Nei primi giorni dopo la mia venuta a Jenne, discorrendo di religione con l’arciprete, gli parlai della vitalità eterna della dottrina cattolica, del potere che ha l’anima della dottrina cattolica di trasformare continuamente il proprio corpo, accrescendone senza limiti la forza e la bellezza. Lei sa, padre mio, da chi mi sono venute queste idee per mezzo di Lei. L’arciprete deve avere riferito il mio discorso, che gli era piaciuto. Il giorno dopo mi domandò se a Subiaco avessi conosciuto Selva, se avessi letto i suoi libri. Mi disse ch’egli non li aveva letti ma sapeva ch’erano da fuggire. Padre mio, Ella comprende. È per causa del signor Selva e dell’amicizia di Lei col signor Selva che io parto da Jenne così. Non La ho mai tanto amata quanto adesso, non so dove andrò ma dovunque il Signore mi mandi, vicino o lontano, non mi abbandoni nell’anima Sua!»

Così dicendo con un tumulto, nella voce, di dolore e di amore, Benedetto si gettò un’altra volta nelle braccia del Maestro che, straziato egli pure da una tempesta di sentimenti diversi, non sapeva se domandargli perdono o promettergli gloria, la vera; e solamente potè dirgli, ansando: