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244 | capitolo quinto |
chiarore augusto dello spirito di Verità. Posò le mani sulle spalle di don Clemente.
«Maestro mio» diss’egli raddolcendosi nel viso «io lascio il tetto, il pane e l’abito che mi furono offerti, ma non lascerò di parlare di Cristo Verità fino a che avrò vita. Me ne vado ma non per tacere. Si ricorda di avermi fatto leggere la lettera di S. Pier Damiano a quel laico che predicava? E quello là predicava in chiesa! Io non predicherò in chiesa ma se Cristo vuole che io parli nei tugurii, nei tugurii parlerò; se vuole che io parli nei palazzi, nei palazzi parlerò; se vuole che io parli nei cubicoli, parlerò nei cubicoli; se vuole che io parli sui tetti, parlerò sui tetti. Pensi all’uomo che operava nel nome di Cristo e ne fu proibito dai discepoli. Cristo ha detto: lasciatelo fare. È da obbedire ai discepoli o è da obbedire a Cristo?»
«Per l’uomo del Vangelo sta bene, caro» rispose don Clemente «ma ora sulla volontà di Cristo ci si può anche ingannare, bada.»
Il cuore di don Clemente non parlava propriamente così; ma le parole imprudenti, indisciplinate del cuore non furon lasciate passare alle labbra.
«Del resto, padre mio» riprese Benedetto «lo creda, io non sono bandito per avere evangelizzato il popolo. Vi sono due cose ch’Ella deve sapere. La prima è questa: mi è stato proposto, qui