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242 capitolo quinto

in polvere, cenere e niente. Stettero così abbracciati lungamente senza dir parola.

«L’ho fatto per te» mormorò alfine don Clemente. «Ti ho portato io il messaggio ignominioso per vedere la grazia del Signore risplendere in questo tuo abito vile più che nella tonaca.»

Benedetto lo interruppe.

«No no» diss’egli «non mi tenti, non mi tenti! Ringraziamo Iddio, invece, che appunto mi castiga per quel compiacimento presuntuoso che ho avuto a Santa Scolastica quando Lei mi ha offerto l’abito benedettino e io ho pensato che nella mia visione mi ero visto morire con quell’abito. Il mio cuore si alzò allora come dicendosi: «sono veramente prediletto da Dio!» E adesso…

«Oh ma..!» esclamò il padre e subito tacque, tutto una fiamma nel viso. Benedetto credette intendere che avesse pensato: «non è detto che tu non lo riprenda, l’abito che hai spogliato! non è detto che la visione non si avveri!» e che poi non avesse voluto dire il suo pensiero, sia per prudenza, sia per non alludere alla sua morte. Sorrise, lo abbracciò. Il padre si affrettò a parlare d’altro, scusò l’arciprete ch’era dolente di quanto accadeva, che non avrebbe voluto allontanare Benedetto ma temeva i Superiori. Non era un don Abbondio, non temeva per sè, temeva lo scandalo di un conflitto con l’Autorità.