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Il signore era quel tale che i Selva avevano incontrato sulla costa di Jenne dove stava in attesa della duchessa di Civitella. La duchessa era poi arrivata con altre due dame e con alcuni cavalieri fra i quali un giornalista, il giovinotto elegantissimo dalla caramella. Il signore di Jenne non capiva più nella pelle, si sentiva per quel giorno in corpo uno spirito ducale di bontà e di magnificenza. Perciò don Clemente, consigliato dall’arciprete di rivolgersi a lui, ne aveva facilmente ottenuto la promessa, per Benedetto, di un vecchio abito nero da mattina, di una cravatta nera, di un cappello nero a cencio.

Quando, nella camera dov’erano preparate le vesti laicali, il discepolo, svestita la tonaca, prese, tacendo sempre, a indossarle, il Maestro, che stava alla finestra, non potè trattenere un singhiozzo. Pochi momenti dopo Benedetto lo chiamò dolcemente.

«Padre mio» diss’egli. «Mi guardi.»

Vestito dei nuovi panni, troppo lunghi e larghi, egli sorrideva, mostrando pace. Il padre gli afferrò una mano per baciargliela; ma Benedetto, ritratta con impeto la mano, allargò le braccia, si strinse al petto lui che parve allora il minore, il figliuolo, il penitente ministro di tristi prepotenze umane che sul palpito divino di quel petto si sciogliessero