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234 | capitolo quinto |
di nero, bionda, bianca come la cera, piena gli occhi azzurrini di sbigottimento e di lagrime. Benedetto non potè a meno di volgere il capo a lei. Riconobbe la maestra del Comune, che aveva veduto un momento in casa dell’arciprete, e già proseguiva senza salutarla quando ella gli gettò un gemito: «mi ascolti!» e, fatto un passo indietro nell’andito, cadde sulle ginocchia, gli stese le mani imploranti, ripiegando il capo sul petto.
Benedetto si fermò. Esitò un momento e poi disse, con gravità severa:
«Che vuole da me?»
Si era fatto quasi buio. I lampi abbagliavano, il fragore del tuono empiva la misera viuzza, impediva ai due di udirsi. Benedetto si accostò all’uscio.
«Mi hanno detto» rispose la giovine senz’alzare il viso e sostando agli scoppi del tuono «che Lei forse dovrà partire da Jenne. Una Sua parola mi ha dato la vita, la Sua partenza mi farà morire ancora. Mi ripeta quella parola, la dica per me, solo per me!»
«Quale parola?»
«Lei stava col signor arciprete, io ero nella stanza vicina colla fantesca e l’uscio aperto. Lei diceva che un uomo può negare Dio senza essere veramente ateo e senza meritare la morte eterna, quando nega quel Dio che gli è proposto