Pagina:Il Santo.djvu/239


il santo 227

Il giovinotto soggiunse con un sorriso beffardo che quanto a sè non se ne credeva degno. Don Clemente gli rispose breve breve che per ora era impossibile di parlare a Benedetto; e tirò via. Colui riferì alle signore che il Santo stava nel tabernacolo chiuso a chiave.

Intanto Benedetto, supplicandolo sempre la madre desolata che non usasse medicine, che facesse il miracolo, confortava il giacente con qualche sorso dei cordiali portati da Giovanni Selva e più con parole, con lievi carezze, con la promessa di altre parole di salute che altri gli avrebbe portato. E la voce pia, tenera, grave, operò un miracolo di pace. L’infermo respirava male assai, gemeva ancora, ma non imprecava più. La madre, folle di speranza, mormorava a mani giunte, lagrimando:

«Il miracolo, il miracolo, il miracolo.»

«Caro» diceva Benedetto «sei in mano di Dio e la senti terribile. Abbandònati, la sentirai soave. Ti poserà da capo nel mare di questa vita, ti poserà nel cielo, ti poserà dove vorrà lei, abbandònati, non ci pensare. Quand’eri bambino la tua mamma ti portava, tu non domandavi nè il come nè il quando nè il perchè, tu eri nelle sue braccia, tu eri nel suo amore, tu non domandavi altro. Così anche ora, caro. Io che ti parlo ho fatto tanto male nella mia vita, forse un poco ne hai fatto