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218 | capitolo quinto |
rente, Benedetto riuscì con parole di dolore, di supplica, di rampogna, a respingere l’assalto della turba adoratrice, a farla rialzare in piedi. Un grido partì dal gruppo degli studenti: «parli!» In quello stesso momento, lassù in alto, le campane di Jenne annunciarono solenni il mezzogiorno al villaggio, alle solitudine, al monte Leo, al monte Sant’Antonio, al monte Altuino, alle nubi veleggianti verso ponente. Benedetto si pose l’indice alla bocca, le campane parlarono sole. Guardò don Clemente come per un tacito invito. Don Clemente si scoperse e cominciò a dire l’Angelus Domini. Benedetto, in piedi, a mani giunte, lo disse con lui e fino a che le campane suonarono tenne gli occhi fissi sul giovane che gli aveva gridato di parlare: gli occhi pieni di tristezza, di dolcezza mistica. Quello sguardo ineffabile, il suono delle campane solenni, il tremar dell’erba, l’ondular lieve dei rami fioriti al vento, il rapimento di tante facce lagrimose volte a una sola si componevano insieme per Noemi in una parola unica che la esaltava senza rivelarsi, come tormenta l’anima nel desiderio di sè la parola occulta sotto una tragica processione di accordi musicali. Le campane tacquero e Benedetto disse dolcemente a chi gli stava di fronte:
«Chi siete voi e cosa è accaduto che vi ha fatto venire a me come se io fossi quello che non sono?»