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il santo 213

seggiola di paglia. Un’altra seggiola porta un piatto di fave e del pane. Il luogo ha l’aspetto di una estrema povertà, ordinata e pulita.

L’uomo, febbricitante, si lagna del freddo, dell’umido, del buio. Dice di star peggio e che lo hanno condotto a morire. Lo scongiurano di chetarsi, di sperare. Invece la sua giovinetta sorella dal cuore ammalato, un minuto dopo che l’han posata sul letto, sente sollievo. Lo annuncia subito, annuncia che guarisce. Intorno a lei si lagrima e si ride insieme, si loda il Signore. Le si baciano le vesti come s’ella pure fosse divenuta santa, si grida l’annuncio fuori. Voci di gioia rispondono, altra gente si caccia nella caverna col viso acceso, con gli occhi avidi. Ma in quel momento qualcuno, ch’è sceso più abbasso in cerca del Santo, grida da lontano: il Santo viene! il Santo viene! Allora la caverna rigurgita gente sulla china, un fracasso di voci e di passi trabocca in giù, in un attimo tutto è vuoto intorno ai Selva e a tre o quattro studenti, fermi sotto l’entrata della capanna. Delle donne di Jenne parte è ritornata nel forno al lavoro, parte sta a guardare sulla porta. Maria scambia qualche parola con queste. Tutta forestiera quella gente ch’è scesa? Eh sì, non tutta ma quasi. Gente di Vallepietra, la più parte. Sarebbe meglio che da Vallepietra ci venisse l’acqua. E che vogliono? Portarsi via il Santo da Jenne? Sì, dicevano anche questo,