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piuttosto di Sabine che di Santi. Al vedere Giovanni e le due signore ammutolirono. Passati, ripresero a ridere e a scherzare; scherzarono su Giovanni che forse era il Santo fra le tentatrici.

Una grande nube dagli orli di argento, la prima di una flotta che veleggiava verso ponente, oscurò il sole; e Noemi, alquanto rinfrancata, propose di approfittare dell’ombra per rimettersi in via. Pochi passi sotto la croce sognata, secondo quel Torquato, dall’arciprete, incontrarono un borghese vestito di nero che scendeva sul mulo.

«Scusino» diss’egli alle signore, trattenendo il mulo, «una di Loro è Sua Eccellenza la duchessa di Civitella?»

Udita la risposta, si scusò dicendo che un senatore suo amico gli aveva raccomandata questa duchessa, da lui non conosciuta, che doveva capitare a Jenne per vedere il Santo.

«Già» diss’egli sorridendo. «Forse anche Loro. Tutti adesso. Una volta ci venivano a vedere un Papa. Sicuro. A Jenne c’era un Papa. Alessandro IV. Vedranno l’iscrizione. «Calores aestivos vitandi caussa.» Adesso ci vengono per un Santo. Dovrebb’essere più che un Papa. Ho paura che sia meno! Hanno visto i due malati? Hanno visto gli studenti di Roma? Eh, vedranno altro, vedranno altro! Ma ho paura che sia meno. Buon viaggio a Loro signori!»