della riunione in cui si era parlato di una lega fra i cattolici progressisti. Nessuna lega n’era venuta fuori ma uno strano seguito di fatti spiacevoli non poteva ragionevolmente attribuirsi ad altra origine. Il professore Dane era stato richiamato in Irlanda dal suo arcivescovo. Egli si era subito recato da un cardinale di curia, inglese, per rappresentargli le sue cattive condizioni di salute e chiedergli di appoggiare presso l’Arcivescovo una domanda di dilazione. Sua Eminenza gli aveva aperto gli occhi. Il colpo era venuto da Roma dove si era malissimo disposti verso di lui. Soltanto per un riguardo al cardinale stesso, amico del Dane, e sopra tutto per riguardo al governo inglese, non si accontenterebbero coloro che avrebbero voluto far mettere all’Indice i suoi libri e costringer lui a lasciare la cattedra. Il cardinale gli aveva consigliato di partire da Roma, dove il caldo era già molesto, e di ammalarsi un po’ più sul serio a Montecatini o a Salsomaggiore, dove lo avrebbero lasciato tranquillo. Don Clemente non si era più visto. Giovanni era andato a trovarlo a Santa Scolastica, dove il monaco gli aveva significato con le lagrime agli occhi che la loro amicizia doveva seppellirsi come un tesoro in tempo di guerra. A don Paolo Farè, che teneva in Pavia un corso di religione per gli adulti, era stato imposto di tacere. Il giovane di Leynì era stato colpito per mezzo della