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162 capitolo quarto

don Leone una guida superiore a lui di gran lunga per copia e profondità di dottrina; e, con molto dispetto di lei, si allontanò.


Rimasta sola, Jeanne fu ripresa dalla palpitazione violenta. Dio, come riviveva il passato, come riviveva Praglia! Pensare ch’egli andava e veniva per quell’ingresso, per quei chiostri, chi sa quante volte al giorno, che aveva tanto dovuto ricordare Praglia, quell’ora disposta dal destino, quell’acqua versata, quell’ebbrezza, quelle mani strette, nel ritorno, sotto la coperta di pelliccia! Pensare ch’egli era libero e che anche lei lo era! Che febbre, che febbre!

Fra Antonio, sgomentato sulle prime di trovarsi lì questa signora che pareva senza fiato, rimase poi sbalordito della rapida loquela con la quale, a un tratto, ella lo assalì di domande. Il monastero, non aveva un orto vicino? — Sì, vicinissimo, a tramontana. Di mezzo non c’era che una stradicciuola. — E chi lo coltivava? — Un ortolano. — Giovane? Vecchio? Di Subiaco? Forestiere? — Vecchio. Di Subiaco. — E nessun altro? — Sì, Benedetto. — Benedetto? Chi era Benedetto? — Un giovane, del paese del Padre foresterario. — Di dov’era il Padre foresterario? — Di Brescia. — E questo giovine si chiamava Benedetto? —