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derlo a Dio. Ora il figliuolo spirituale era misteriosamente certo che la donna male amata da lui nel tempo del suo gravitare cieco e ardente sulle cose inferiori, aveva scoperto la sua presenza nel monastero e sarebbe venuta a cercarlo. Disceso dentro lo Spirito interno al proprio cuore, egli vi attingeva un pio sentimento del Divino ch’era pure in lei, ascoso a lei stessa, una mistica speranza che per qualche oscura via ella pure arriverebbe un giorno al mare di verità eterna e di amore, che attende tante povere anime erranti.

Don Clemente lo aveva udito venire e aperse a mezzo l’uscio della cella. Benedetto entrò, gli porse la lettera dell’Abate.

«Debbo lasciare il monastero» diss’egli, sereno. «Subito e per sempre.»

Don Clemente non rispose, aperse la lettera. Letta che l’ebbe, osservò a Benedetto, sorridendo, che la sua partenza per Jenne era stata decisa fin dalla sera precedente. Vero, ma l’Abate aveva detto: per non ritornare mai più. Don Clemente aveva le lagrime agli occhi e sorrideva ancora.

«Lei è contento?» disse Benedetto, quasi dolente.

Oh, contento! Come avrebbe potuto dire il suo Maestro, quel che sentiva? Partiva il discepolo diletto, partiva per sempre, dopo tre anni di dolce unione spirituale; ma ecco, l’ascosa Volontà si era